Racconto qui le gesta del mio Sire, di modo che le future genti possano ricordarsi delle sue gesta, del suo coraggio, della lotta accanita che per tutta la sua vita intraprese contro il Male, l’ingiustizia e gli orrori dei secoli bui in cui noi oggi viviamo.

Xavier Drengot nacque in un imprecisato giorno del 1149 nella città di Le Havre da Roberto II Drengot e Sibilla di Borgogna.
Il padre era un valoroso e nobile uomo d’arme, sempre pronto ad offrire la sua vita pur di mettere a disposizione la sua lama ai desideri del suo Signore.

La madre, Sibilla, non lasciò ricordi nel piccolo Xavier, in quanto morì circa due anni dopo la nascita del mio Sire.
Roberto introdusse Xavier nell’esercito e nella nobiltà già in età precoce, facendogli assaporare quello che, suo malgrado, sarebbe stata la sua vita futura.
La sua gioventù trascorse tra allenamenti con le armi e lo studio delle discipline filosofiche e religiose per forgiare il futuro spirito indomito e valoroso che ogni nobile francese deve possedere.
All’età di 18 anni entrò ufficialmente nell’esercito, nell’armata comandata da suo padre, per accompagnarlo a difendere il potere del Signore.

Proprio durante la sua prima azione Xavier capì che la strada che aveva percorso fino a quel momento era sbagliata: la nobiltà d’animo e la devozione religiosa stridevano fortemente con l’educazione militare che avevano ricevuto.
Fu una ribellione contadina, scoppiata a causa dell’aumento delle tasse da parte del Signore locale, ad essere l’occasione del primo vero scontro sul campo per il mio Sire.
Un’armata di cavalieri e soldati ben addestrati dovettero sbaragliare una massa di poveri pezzenti che avevano l’unica colpa di morire di fame a causa dell’avidità del loro Signore.

Non vi erano soldati addestrati nelle file nemiche, essi non avevano armi affilate e resistenti, essi non erano protetti da solide armature ornate da drappeggi e nobili insegne: erano contadini, povera gente vestita di stracci e armata di forconi e bastoni.
C’erano anche fanciulli e donne, costretti dalla fame a rischiare ulteriormente la loro vita in uno scontro che li avrebbe condannati a morte più rapidamente rispetto alla miseria in cui erano costretti a vivere, anche se, probabilmente, avrebbero sofferto molto meno a lungo.
La vista di tanta povertà e disperazione fu un colpo per la mente ed il cuore del giovane Xavier, tanto che rimase impietrito quando lo scontro finalmente ebbe inizio.
I soldati, guidati dal padre, partirono all’attacco brandendo le spade ed i cavalieri attaccarono al galoppo gettandosi in mezzo alla folla.

Roberto, prima di partire alla carica voltò lo sguardo fiero e deciso verso il figlio come per dargli coraggio ed insieme un severo ordine di seguirlo in questa avventura.
Ma Xavier non poteva usare violenza contro quella gente: la vista delle spade che, senza pietà affondavano senza distinzione nei rudi corpi dei contadini e nelle esili figure dei bambini, lo pietrificarono.
Nel momento in cui Xavier vide uno dei soldati, al fianco del quale avrebbe dovuto combattere, usare violenza contro una ragazzina, si gettò nella mischia, per aggredire il militare alle spalle: la rabbia e la foga per quello che aveva visto gli permisero di spaccare la testa del soldato con la pesante lama della sua spada, mentre un denso getto di sangue sporcava la sua rilucente armatura.
La ragazzina, ancora scossa da quello che le era capitato scappò via senza nemmeno ringraziare il suo salvatore, correndo verso casa tra i corpi dei morti che erano rimasti sul campo di battaglia.

Che cosa aveva a che fare tutto questo con la nobiltà, la lealtà e l’eroismo che erano stati inculcati nella sua mente fin dalla più tenera età?
E mentre cercava una risposta a questa domanda, venne arrestato dai soldati di suo padre.
Qualche ora dopo Roberto riuscì a far liberare suo figlio: l’influenza del nome del grande condottiero ebbe il potere di cancellare l’infame atto che il figlio aveva perpetrato nei confronti di un soldato.
Per giorni Xavier rimase chiuso nella sua stanza pensando alla sua esistenza che in un solo momento aveva completamente perso di significato.
Fu così che decise di affrontare il padre per annunciargli il suo desiderio di voler partire, di voler abbandonare quel mondo ipocrita che predicava la nobiltà d’animo ma permetteva atti empi di ogni genere nei confronti dei più deboli.

L’opposizione del padre fu grande ed aspra ma la decisione fu irremovibile.
Xavier avrebbe continuato a combattere: era la cosa per cui era vissuto fino a quel momento, ma avrebbe combattuto solo per le cause che egli avrebbe ritenuto giusto che fossero combattute.
Sarebbe stato un mercenario che avrebbe ricevuto un doppio pagamento: in soldi ed in rettitudine morale, per aver combattuto per ideali che anche lui avrebbe abbracciato.

Non poteva più anche solo pensare di essere costretto a mettere la sua lama al servizio di ogni capriccio di un Signorotto locale.
Fu così che Xavier Drengot venne cacciato dalla sua famiglia e dal suo casato; fu addirittura cancellato dall’albero genealogico ufficiale della sua casata come segno di massimo disprezzo nei suoi confronti.
Cominciò un lungo viaggio per le campagne della Francia per cercare servizio in qualche armata che potesse avere bisogno di lui e della sua abilità militare che di anno in anno accresceva sempre di più: dopotutto aveva avuto un gran maestro di arti militari, pur non abbracciandone gli ideali.

Ovviamente, la causa per cui si sarebbe sparso sangue, avrebbe dovuto essere in difesa dei deboli, contro angherie e soprusi: ormai la giustizia era diventata una sorta di ossessione. L’essere stato tradito nella fiducia dal padre era stato per Xavier una grande ferita che avrebbe potuto essere rimarginata espiando le colpe che avrebbe potuto commettere il padre.
La peregrinazione lo portò, in seguito in altri paesi del continente, fino nella penisola italiana, luogo in cui la vita di Xavier sarebbe finita e contemporaneamente sarebbe cambiata per l’eternità.
La battaglia decisiva per la sorte del mio Sire si sarebbe svolta per contrastare l’avanzata di un nobile italiano, di cui non è stato tramandato il nome, che voleva assoggettare i poveri popoli di una regione della Toscana.

Le precedenti battaglie si erano svolte all’insegna delle più aspre violenze sia nei confronti dell’esercito dei ribelli, sia nei confronti degli abitanti della regione che era stata presa di mira.
Molte volte Xavier aveva messo a dura prova la sua presenza di spirito, costretto, come era, a dover assistere spesso a scene di saccheggi, violenze ed infamie nei confronti di indifesi abitanti disarmati.

Chi si ribellava alla conquista era ucciso sul campo di battaglia oppure giustiziato in pubbliche condanne a morte.
Quante volte il mio Sire si era trovato davanti a scene che mai avrebbe voluto vedere: decapitazioni, roghi, contadini che venivano immersi a testa in giù nella pece bollente. Numerosi furono i supplizi a cui vennero sottoposti i ribelli e numerosi furono i compagni d’arme che Xavier vide scomparire per sempre dalla sua vita.

Ora però la battaglia era decisiva: la ribellione, come la violenza che essa cercava di contrastare, si era fatta più aspra ed il nobile fu costretto a scendere direttamente in campo per mantenere l’ordine nei suoi possedimenti.
La battaglia sarebbe stata probabilmente senza ritorno: Xavier era un mercenario, ma la sua passione certamente ossessiva per la giustizia gli impediva di scappare di fronte a quest’ultima possibilità di far trionfare la giustizia.
Lo scontro ebbe finalmente inizio. Era il pomeriggio del 21 Dicembre 1171.

Xavier combattè insieme ai suoi compagni per ore e ore sconfiggendo le armate del nobile italiano.
Ma c’era qualcosa che non convinceva il mio Sire durante il combattimento con il nemico.
Sembrava uno scontro fatto per contenere una rivolta, non per sterminare una volta per tutte il nemico. Mancava la vera foga della battaglia.
Fu verso sera, quando le forze cominciavano ormai a mancare nelle braccia di entrambe le fazioni, che Xavier capì perchè il nemico stesse temporeggiando.
A sostegno dell’armata del nobile era arrivata «l’Armata purpurea», una guarnigione a metà tra realtà e leggenda che era sempre stata utilizzata per scontri particolarmente cruenti e che, solitamente, riusciva a risolvere le situazioni più critiche.
Xavier ne aveva sentito parlare spesso, ma non l’aveva mai affrontata direttamente per un semplice motivo: sembrava che quest’esercito agisse soltanto di notte. Fu questa particolarità a rendere quest’armata più vicina alla una superstizione popolare che non alla realtà.

Rapidamente le sorti della battaglia furono decise dai nuovi arrivati che cominciarono a sterminare i ribelli, che pur si difesero sino all’ultimo con sommo valore.
Agghiacciato da tanta violenza e dall’agonia dei suoi compagni, Xavier si lanciò in un ultimo disperato attacco, in un estremo tentativo di disorientare il nemico qualora fosse riuscito ad ucciderne il comandante.
Fu uno scontro che evidenziò il valore militare del mio Sire e la sua nobiltà d’animo: fu un estremo sacrificio per liberare gli oppressi dall’ingiustizia.
Probabilmente sarebbe stato il modo in cui a Xavier sarebbe piaciuto morire: in battaglia per un ideale in cui credeva.
La battaglia era finita. L’esercito ribelle era stato sconfitto e Xavier non poteva fare altro che soccombere alla potenza superiore del suo nemico.

Ormai a terra, stremato e senza forza, aspettava che il suo avversario gli desse la morte.
Fu in quel momento, con grande meraviglia, che il comandante si tolse l’elmo purpureo mostrando i neri capelli lunghi e lisci che incorniciavano un volto pallido ed aggraziato.
La bellezza di quell’uomo era insolita: non poteva appartenere ad un corpo così muscoloso e violento, non poteva essere lo specchio di quella crudele tecnica militare che aveva guidato la sua armata allo sterminio dell’esercito in cui aveva combattuto Xavier.

La sua voce e le sue parole furono, però, la cosa che riempirono di orrore gli ultimi attimi di vita del mio Sire.
Una voce stridente, ma al tempo stesso profonda e cavernosa, che ancor più strideva con le sottili labbra da cui fuoriusciva, disse: «E’ un peccato uccidere un soldato di così gran valore e coraggio; ma è il mio dovere».
Immediatamente si avventò sul collo di Xavier lacerandolo e dandogli un ultimo, crudele e selvaggio colpo di grazia.

Fu così che ufficialmente il mio Sire morì agli occhi degli esseri umani, dopo essersi battuto valorosamente per difendere la giustizia che tanto aveva amato in vita.
Fu abbandonato in mezzo ai cadaveri dei suoi commilitoni, sul campo di battaglia, mentre l’armata guidata dall’empio comandante abbandonava il luogo in cui era scorso tanto sangue.
Passò la notte e venne così l’alba, i primi raggi di sole cominciavano a far luce sul campo di battaglia e permettevano ai paesani di andare a recuperare e piangere i corpi dei soldati uccisi.
Fu in quel momento che Xavier sentì un dolore lancinante alla pelle, come semille aghi stessero trafiggendolo senza pietà.
Un calore insopportabile, simile a quello di un rogo si stava impadronendo della sua pelle e contemporaneamente sembrava che provenisse dall’interno del suo corpo.
Ma la cosa che maggiormente colpì Xavier era il fatto che fosse ancora vivo.
Con una inattesa vitalità si alzò in fretta e cominciò a correre in cerca di una zona d’ombra e quando trovò una caverna nelle vicinanze, si gettò dentro e svenne.
Verso sera si risvegliò in preda ad una sete atroce, un desiderio di nutrirsi di qualcosa che avrebbe appagato quel suo stato. Soprattutto sentì dentro di se una violenza ed una frenesia che non gli apparteneva.

Qualche attimo dopo si udirono delle voci.
Erano bambini che probabilmente aiutavano i genitori a cercare i superstiti della battaglia.
Come se fosse imprigionato in un corpo non suo, senza possibilità di controllo, Xavier uscì dalla grotta e si avventò su una bambina, afferrandola per il collo.
Gli altri ragazzini impauriti scapparono per cercare aiuto.
«Signore, signore...la prego, mi lasci....» era la voce impaurita e quasi rotta dal pianto che chiedeva pietà. «Signore...» il mio Sire non poteva credere che quelle che vedeva intorno al collo della bambina fossero le sue mani: così pallide e nodose, con le unghie liscie e bianche.
Ma, nonostante il buio di quella notte, era possibile riuscire a vedere le vene pulsare sul viso di quella creatura, era possibile sentire il dolce profumo del giovane sangue.

Ecco di che cosa aveva sete!

Xavier riuscì per miracolo a combattere contro quel desiderio di spaccare il collo della bambina per nutrirsi del dolce sangue della piccola e la lasciò scappare in preda al panico. C’erano stati troppi orrori fino a quel momento e non voleva essere il responsabile di altri morti innocenti.
Volle fuggire da lì, scappare e mentre correva, si rese conto che stava correndo ad una velocità altissima. L’armatura non gli era di peso, anche se cominciava a capire che probabilmente non gli sarebbe ma più servita.
La sete si faceva sempre più forte e in quel momento aggredì un cervo che ebbe la sfortuna di capitare sulla sua strada.
Il sapore del sangue che entrava caldo nella sua gola fece raggiungere una condizione di appagamento sia fisico che mentale al mio sire: fu un’esperienza che non aveva mai provato, migliore del sapore del cibo più raffinato, migliore dell’amore della più bella donna.
Stremato da tale sensazione, Xavier si avvicinò in prossimità di un lago e si sciacquò il volto per cercare di calmarsi.
Fu in quel momento che vide la sua immagine riflessa che mostrava un biondo demone con gli occhi risplendenti di una malefica ed affascinante luce rossa e quelle orribili zanne che uscivano dalla sua bocca.
La chiara luce della luna rendeva il suo colorito ancora più pallido e la pelle era liscia, senza segni nè rughe.
Anche le ferite della battaglia erano scomparse, rimarginate come per qualche sortilegio.
Il mio Sire cominciò a vagare in cerca di un riparo per il giorno, cominciando a pensare a cosa era diventato. In un momento si ricordò di un libro di leggende popolari che aveva letto durante i suoi studi in gioventù.
Gli venne in mente la parola «Vampiri» e tutto quello che si credeva potessero fare. La luce del sole, la maledizione, la vita notturna ma, soprattutto, il bisogno di sangue, il bisogno di uccidere.

Xavier pensò subito di uccidersi per non dover essere costretto a mietere vittime per sopravvivere, così come stava rischiando di fare poco prima con quella bambina, ma poi capì che probabilmente poteva utilizzare la sua nuova condizione per combattere l’ingiustizia ed il male.
Era però ancora necessario vendicare la morte dei suoi compagni e punire il nobile italiano per la sua empia condotta.
La sera successiva Xavier si recò quindi al castello del nobile e ancora si meravigliò di come potesse muoversi nel buio con la sicurezza di un gatto o di un rapace notturno; si meravigliò della sua velocità pari a quella di un puledro; si meravigliò della forza che aveva ottenuto, pari a quella di un orso.
Non fu difficile per Xavier infiltrarsi nel castello, ancora nel caos a causa dei tre giorni di festeggiamenti indetti per la sfolgorante vittoria sui ribelli.
Fu ancor meno difficile individuare la stanza del nobile italiano che ormai stremato dai festeggiamenti giaceva addormentato nella sua stanza.

Il mio Sire si avvicinò al letto del nobile e si avventò sul suo collo.
Il sapore e il piacere che aveva provato bevendo il sangue del cervo, si rivelarono di poco conto rispetto alla dolcezza del sangue umano, ma ancor più delizioso era sapere che si stava punendo un uomo responsabile delle più atroci nefandezze che mai Xavier avesse potuto vedere in tutta la sua vita.
L’estasi suprema gli fece desiderare altro sangue, ma prima di cercare altre vittime, decise di comporre la salma come se stesse pregando: sdraiata con le mani ordinate sul petto, una sorta di testimonianza del suo passaggio.
Xavier si stava convincendo, ormai, di essere stato scelto da Dio per diventare un angelo della morte; uno strumento per punire criminali ed uomini empi.
Vagò così nel castello per uccidere i generali e i comandanti, lasciando le loro salme inerti composte con le mani sul petto.

Mentre stava per andarsene, Xavier si rese conto che alla sua vendetta mancava colui che gli aveva dato quel l’incredibile dono.
Prima di balzare giù dalle mura del castello, si voltò e lo vide davanti a lui.
«Bravo! Hai già capito ciò che sei diventato!», disse con quella sua voce soprannaturale il comandante dell’Armata purpurea. «Cerca altri come te in tutta l’Europa e cerca di capire la verità sulla tua nuova vita.»
Come ultimo gesto il cavaliere si strappò un ciondolo dal collo e lo gettò al mio Sire: «Fanne un uso migliore di quanto sia riuscito io...»

Sparì così, improvvisamente e sotto i suoi occhi, il sire di Xavier, senza mai averne conosciuto il nome.
La mattina seguente venne scoperta la carneficina effettuata dal mio Sire e si disse che un angelo era sceso tra le mura del castello ed aveva punito il nobile e tutti i suoi comandanti.
Senza più reggenti, la casata andò in rovina e il potere rapidamente diminuì, riportando la pace in quella zona tanto martoriata dalla violenza.

Xavier cominciò un lungo viaggio in giro per l’Europa cercando altri Vampiri come lui e studiando, contemporaneamente, da libri e dalle tradizioni orali, la verità sulla natura di quelli come lui.
In Inghilterra conobbe un gruppo di fratelli con cui peregrinò per numerosi anni in cerca di quella verità e di quella giustizia che sempre ha segnato la sua vita.

Ora, dopo tanti anni, il mio Sire ha deciso di riposarsi. Il Torpore che lo avvolge lo trasporterà in un lungo viaggio nel tempo che lo porterà in epoche lontane e future in cui, forse, il mondo avrà ancora bisogno di un sanguinario angelo della morte.
Non sono a conoscenza dell’esistenza di altri figli di Xavier oltre a me, ma egli mi ha creato per vegliare sulla sua tomba; quando si risveglierà andremo insieme a combattere per ristabilire la giustizia nei regni oppressi dal Male.